I tre tempi della meditazione
Breve excursus sulle tre fasi della meditazione:
1° fase
La pratica sul respiro, la più comune e antica
2° fase
La meditazione analitica: osservazione di un oggetto nella mente
3° fase
Lasciare andare, non afferrarsi ai caratteri che proiettiamo sulle cose
Prima l’obiettivo
applicare i ragionamenti svolti nel corso della lezione (vedere il resto del post) in presenza di qualcosa che ci attrae o respinge particolarmente sia che si sia in meditazione o che si stia camminando per strada, sia che qualcuno ci stia dicendo qualcosa.
Occorre portare l’attenzione all’altezza delle narici e inspirando avvertiamo la presenza dell’aria che entra, potrebbe manifestarsi una sensazione di freschezza mentre espirando si può avvertire il flusso dell’aria che fuoriesce magari attraverso un’esperienza di calore.
In questa fase non dobbiamo modificare nulla, non dobbiamo manipolare alcunché o creare volontariamente delle immagini ma rimanere semplici osservatori del movimento dell’aria che viene e che va all’altezza delle narici sintonizzandoci con la sensazione.
Nel caso l’attività discorsiva della mente sia molto presente, inspirando mentalmente ripetere: consapevole; espirando lascio andare.
In questa fase si può impiegare un qualunque oggetto al quale applicheremo il ragionamento di Candrakīrti: verificheremo che sia uguale alle sue parti o sia la stessa cosa e dove cercarlo. Queste le domande da porsi: il carro è la stessa cosa delle sue parti? Se così fosse la ruota, la base, il mozzo dovrebbero essere il carro, queste parti prese da sole sono il carro?
visualizzare di fronte a noi un semplice carro: abbiamo la ruota ad otto raggi, il mozzo, la base e un gancio da traino. Quando vediamo queste parti diciamo: c’è il carro.
Ma se il carro è una cosa sola con le parti allora avremo quattro carri: c’è la ruota, c’è il mozzo, c’è la base e c’è il gancio da traino. Cioè se il carro fosse uguale alle sue parti, se il carro fosse le sue parti allora avremo la ruota carro, il mozzo carro, la base carro e il gancio da traino carro.
Separando queste quattro parti essendo il mozzo il carro quest’ultimo potrebbe funzionare da solo come carro così per la ruota, per la base e per il gancio.
A sua volta, però, la ruota è un nome che diamo a un cerchio di legno sostenuto da 8 raggi fissati da un mozzo. Al di fuori di queste parti non c’è nessuna ruota e la ruota dipende da queste parti.
Pertanto se il carro fosse le sue parti allora il carro sarebbe anche la ruota
Secondo questo ragionamento (cioè se il carro è la stessa cosa delle parti) se io metto sotto o sopra il mozzo o la ruota o il gancio o la base, dov’è l’entità carro? Forse è nel nome “carro”?
Se l’entità “carro” è nelle sue parti allora in esse non c’è alcun carro che possa stringere o afferrare tramite questo suono: “carro”.
L’idea di carro, il nome carro non contiene alcuna entità e non fa muovere alcuna delle parti messe in un certo modo e che sono la causa di movimento e di sostegno. Non producono alcuna entità e non c’è nessuna entità carro in esse pertanto torniamo al quesito principale: dov’è l’entità carro?
Allora non c’è alcuna entità “carro” se non delle cose che, assemblate in un certo modo, svolgono una funzione quando ci sono le cause e le condizioni. In realtà posso godere di questa funzione, di questa modalità ma non posso afferrarla, perpetuarla renderla altro.
In definitiva nel carro non c’è alcun carro: l’essere caro non c’è. C’è l’esserci di un modo che appare grazie alle parti messe in un modo che producono una funzione e quando ci sono cause e condizioni questa funzione manifesta facilità, piacere e comodità.
Finché ci sono cause e condizioni, di questa facilità di questo piacere di questa comodità posso goderne ma le stesse sono inafferrabili.
considerate le premesse sin qui esposte non c’è più alcun motivo quindi per attaccarsi all’idea di carro e, al contrario, viversi semplicemente questa esperienza chiamata carro lasciando andare ogni attaccamento a qualsiasi idea di essere o non essere.
Diventare testimone di pura presenza senza caratteri propri, base di attaccamenti, senza fissare
volontariamente nulla in particolare.
Si rimane meramente in presenza di ciò che si manifesta al nostro campo percettivo, sembra uno spazio infinito, vuoto e pieno contemporaneamente.
In questa condizione dimentichiamo anche chi siamo e questo dimenticarci chi siamo frena il desiderio e la volontà di afferrare. Si risveglia l’immediatezza con il tutto.
Se tuttavia questa attenzione viene portata via riportiamo l’attenzione sul respiro e quando la mente sarà calma riproviamo.
Ancora qualcosina sul lasciar andare: siamo in grado di vedere le cose così come sono?
In poche parole noi solitamente vediamo le cose come vorremmo e come non vorremmo e non siamo, perlomeno, sempre in grado di vedere le cose così come sono. Ma la mente nel suo stato naturale è come fosse uno schermo sul quale le cose appaiono e vengono percepite così come sono, prima che il pensiero concettuale, appunto, dia interpretazioni, dia giudizi o pregiudizi: questo è bello, questo è brutto, mi piace, non mi piace, eccetera.
Il lasciare andare intende proprio il rimanere in questo campo cognitivo percettivo, non coinvolto, esclusivamente in presenza di qualcosa che si sta manifestando. Ecco noi proveremo a fermarci con la presenza di qualcosa che entra nel nostro campo cognitivo.
Occorre imparare a lasciare andare la proliferazione mentale, il rimuginio, la proiezione di caratteri che non appartengono alle cose onde impedire di costruire delle illusioni, creare delle identità che non appartengono fino in fondo ai dati, ai fenomeni della nostra esperienza. Riuscire a non pregiudicare il fenomeno che si sta manifestando, proiettando dei caratteri che non gli appartengono.
Non è facile abituare la mente a un’esperienza del genere perché nel momento in cui osservo una cosa la mente vi ha già costruito un mondo intero e, per questo, quello che io vedo esiste così come mi appare. Al contrario di quanto affermato dai grandi Padri del Buddhismo:
Le cose non esistono come appaiono
credere nelle identità delle cose, sulla base del modo con cui appaiono e non sapere come realmente esistono è la fonte di ogni sofferenza, perché ci fa credere in “identità” che non sussistono realmente così come sembra che appaiano.
Gli effetti
la vita entra a gamba tesa a negare questa pseudo evidenza, perché le cose cambiano, le persone cambiano, entra, insomma, quel caos esperienziale che ci priva delle nostre sicurezze e delle nostre certezze, quelle che avevamo costruito su un fenomeno. Allora sperimentiamo sofferenza, insoddisfazione frustrazione, incertezza, dubbio, inquietudine, avversione, rabbia, rifiuto e conflitto.
L’addestramento al lasciarsi andare: spiegazione ed esempi pratici
Il Testimone non coinvolto
Lasciare andare un pensiero ha una sua complicatezza perché significa rimanere un testimone non coinvolto: cioè una persona che rimane percettivamente presente a tutto quello che avviene, ma la cui percezione non viene coinvolta da nessuna forma che si manifesti nel campo percettivo: qualunque cosa o persona io intercetti, lasciare andare significa stare con quello che si sta manifestando senza andargli dietro con attribuzioni non necessarie di identità e caratterizzazione.
In questo modo nego un coinvolgimento erroneo che è tale perché proietta di più, che costruisce abusivamente su qualcosa che già basta così com’è.
Attraverso questo tipo di percezione potremo rimanere con tutto quello che è così com’è senza aspettativa di un risultato diverso da quello che è: trovare un agio anche nel disagio. Essere capaci di stare con tutto quello che c’è a prescindere dal modo con cui si manifesta e a prescindere dalle aspettative, quindi a prescindere da speranze e paura.
Questo, inoltre, non significa che se una cosa non funziona o va male non tenteremo di sistemarla, di aggiustarla ma significa soltanto che la faremo senza delle afflizioni emotive (paura, speranza, etc.), senza che ci sovrasti il rimuginio o una nevrosi dovute a dei pregiudizi interpretativi sulla base di abitudini che ci vengono da tempi infiniti su come dovrebbe o come non dovrebbe essere una cosa affinché noi e la nostra identità possano essere sicuri che il mondo vada come vogliamo noi come diciamo noi.
L’esempio della tazza
Allora mettiamo che io ho di fronte a me una tazza magnifica, ecco c’è una tazza che mi piace tantissimo se io la metto di fronte ai miei occhi, chiaramente tutto il mio interesse, tutta la mia attenzione va a questo oggetto, questo oggetto automaticamente viene riconosciuto come tazza. Ma tazza che cos’è? Un concetto e una designazione nominale, cioè un pensiero e un nome: pensiero e nome costruiscono l’identità quindi io ho un oggetto in mano che svolge una funzione.
Ma che succede se scosto leggermente il mio sguardo? L’oggetto esce leggermente fuori dal campo dell’attenzione, perde ogni carattere, ogni proiezione da parte nostra e diventa una mera presenza nel campo percettivo, campo percettivo che a quel punto si allarga e contempla tutto quello che c’è senza distinzione alcuna tra bello o brutto. Un po’ come quando siamo sovrappensiero e cominciamo guardando una cosa e poi con i pensieri in arrivo, l’oggetto fissato non la vediamo più nel senso che si verifica una sorta di imbambolamento.
Nella nostra meditazione succede la stessa identica cosa solo che non c’è l’imbambolamento cioè lo sguardo non diventa opaco, rimane chiaro e cognitivo solo che non si fissa più su un oggetto ma diventa spazio. Quindi tutto entra nel campo percettivo tutto è percepito come presenza ma non viene più distinto come un oggetto diverso dall’altro.
Per concludere: la pratica a partire dal respiro
prendete un oggetto, una persona di riferimento e fissateli davanti a voi per un attimo e poi scostate leggermente di pochi millimetri lo sguardo (non la testa) e rimanete così senza cercare nulla in particolare.
Non cercando più nulla automaticamente non rifiutate più nulla. Così come spesso accade in meditazione
quando l’attenzione viene portata via dai pensieri e si cerca di stoppare l’immedesimazione.
All’inizio è più facile abituarsi a questa esperienza attraverso delle forme visive, in seguito lo stesso esperimento può essere fatto con i suoni. In questo caso rimarremo semplicemente in ascolto senza attaccarci a nulla.
(estratto dal discorso del 15° dicembre 22) qui è possibile scaricare il testo sul Settuplice Ragionamento