Per questa settimana reiteriamo il compito della volta scorsa:
il linguaggio contribuisce a creare quello che noi riteniamo essere il nostro mondo la nostra realtà, per cui continuiamo a osservare cosa c’è dietro il nostro dire (perché il dire diventa fare, il dire traduce il pensiero e l’azione traduce il dire) guardiamo le vere intenzioni celate dietro le nostre parole e le nostre frasi, soprattutto quando abbiamo bisogno di imporre le nostre idee. Guardiamo con consapevolezza cosa stiamo realmente facendo nel dire qualcosa, e se ci sono degli alibi nascosti dietro le nostre parole.
Durante la giornata, quando possibile, tentiamo di renderci indipendenti dalle nostre abitudini al riconoscimento costante e continuo, alla necessità di dover far riferimento a pensieri che definiscono e caratterizzano; proviamo a renderci indipendenti dal dover chiamare con un nome una cosa, e osserviamo poi cosa succede.
Utilizziamo, quando possiamo, la tecnica dello sguardo “sfocato”, senza fissare nulla in particolare restando però consapevoli; in questo modo, pur rimanendo in contatto con i fenomeni dell’esperienza del momento specifico, non c’è più il sorgere dell’identificazione che richiama la necessità di fare o non fare qualcosa.
Durante la pratica, puntare lo sguardo sfocato e rimanere in meditazione, al termine della quale cercare di vedere se c’è stato il senso di perdita di qualcosa o di se stessi, piuttosto che un senso di pacificazione e se siamo rimasti indipendenti dai fenomeni della nostra esperienza.
Iniziamo così a rendere la nostra percezione sempre più sottile e, conseguentemente, maggiormente indipendente dalla continua esperienza di tipo “causa-effetto”.
Tornare a “fare attenzione”. Proviamo perciò a renderci conto che quello che stiamo sperimentando in un dato momento é un processo, non rappresenta un’entità a se stante: le nostre relazioni, le nostre vicende e anche il nostro pensare possono, e devono, essere visti come un processo. Quindi fare attenzione alla nostra vita significa pensarla come un processo: osservare le sensazioni che sorgono dal contatto, che ci portano a dire “mi piace” o “non mi piace” e successivamente a isolare qualcosa, che produce un’emozione, e che infine ci porta a dire “io sono“. Buon lavoro a tutti