Glossario

sentiero
𝘮𝘢̄𝘳𝘨𝘢
𝘮a𝘳𝘨𝘢 – मार्ग (sanscrito)
𝘭𝘢𝘮 – ལམ་ (tibetano)
La via che conduce al 𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢 viene chiamata, nel 𝘋𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢𝘤𝘢𝘬𝘳𝘢𝘱𝘳𝘢𝘷𝘢𝘳𝘵𝘢𝘯𝘢 𝘚𝘶̄𝘵𝘳𝘢, ‘ottuplice sentiero’. Le otto membra del sentiero sono suddivise in tre gruppi:
1) Saggezza (𝘱𝘳𝘢𝘫𝘯̃𝘢̄)🧠
2) Condotta o moralità (𝘴́𝘪̄𝘭𝘢)🤝
3) Meditazione (𝘴𝘢𝘮a𝘥𝘩𝘪)🧘‍♀️
Nel primo gruppo della ‘saggezza’ rientrano i primi due elementi del sentiero, ossia la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐯𝐢𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 e la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞. La 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐯𝐢𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 è la comprensione delle Quattro Nobili Verità, mentre la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 è spiegata in termini di intenzioni libere da attaccamento ai piaceri mondani, da egoismo e appropriazione, e animate da benevolenza e compassione. Nella ‘moralità’ rientrano la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐚, la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 e i 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐦𝐞𝐳𝐳𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐮𝐬𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚. Per 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐚 si intende la parola non falsa, non portatrice di divisioni, che non danneggia e che non è futile chiacchiera. La 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 consiste nell’astensione dal danneggiare gli esseri viventi 🐄, astensione da ciò che non ci è dato e astensione da una scorretta condotta sessuale. I 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐦𝐞𝐳𝐳𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐮𝐬𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 sono quelli che non contravvengono alla retta parola e alla retta azione. Infine fanno parte dell’ultimo gruppo ‘meditazione’ il 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐟𝐨𝐫𝐳𝐨, la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞𝐳𝐳𝐚 e la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞. Il 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐟𝐨𝐫𝐳𝐨 è lo sforzo per impedire la formazione e abbandonare gli stati mentali non salutari e, al tempo stesso, lo sforzo per far sorgere e sviluppare gli stati mentali salutari. La 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞𝐳𝐳𝐚 è la continua consapevolezza, o presenza mentale, riguardo al corpo, alle sensazioni, alla mente e ai processi fisici e mentali. In ultimo la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 consiste nella mente uni-direzionata, la mente che rimane senza oscillare su un unico oggetto.
cessazione
Nirodha
𝘯𝘪𝘳𝘰𝘥𝘩𝘢 – निरोध (sanscrito)
‘𝘨𝘰𝘨 𝘱𝘢 – འགོག་པ་ (tibetano)
Come abbiamo visto, se la sofferenza ☹️ (𝘥𝘶𝘩̣𝘬𝘩𝘢) deriva dalla brama🥛 (𝘵𝘳̣𝘴̣𝘯̣𝘢̄), ne consegue che, sradicando completamente la brama, e quindi anche la sua causa, ossia l’ignoranza (𝘢𝘷𝘪𝘥𝘺𝘢̄), la sofferenza ha fine. Il Buddha ci offre una via d’uscita 🗝 dal dolore del 𝘴𝘢𝘮̣𝘴𝘢̄𝘳𝘢: lasciando andare le forze della brama che alimentano le continue esperienze del piacere e inevitabilmente del dolore attraverso vita, morte, rinascita e ri-morte, vedendo il vero modo di essere delle cose, si avrà la completa cessazione della sofferenza, il 𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢. Il Buddha ottenne il 𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢 mentre sedeva in meditazione ai piedi di un albero 🌳, ma non abbandonò immediatamente l’esistenza al momento della liberazione, quindi il 𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢 non equivale alla cessazione dell’esistenza. Distinguiamo dunque ciò che la tradizione chiama ‘𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢 con residuo’ (𝘴𝘰𝘱𝘢𝘥𝘩𝘪𝘦𝘴̣𝘢𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢), nonché il 𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢 ottenuto dal Buddha in vita con il completo sradicamento della brama, dal ‘𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢 senza residuo’ (𝘯𝘪𝘳𝘶𝘱𝘢𝘥𝘩𝘪𝘦𝘴̣𝘢𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢), a volte definito 𝘱𝘢𝘳𝘪𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢. Quest’ultimo si riferisce al fatto che un risvegliato come il Buddha, al momento della morte, non va incontro a ulteriore rinascita, gli elementi psicofisici (cinque aggregati; 𝘴𝘬𝘢𝘯𝘥𝘩𝘢) che ne costituivano l’essere vivente incarnato, cessano definitivamente 🌅. 𝘕𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢 letteralmente significa “estinzione” ed è solitamente spiegato dagli stessi testi buddhisti antichi attraverso un linguaggio apofatico, viene cioè indicato ciò che non è piuttosto che ciò che è. Non è condizionato perché non appartiene all’Originazione dipendente (𝘱𝘳𝘢𝘵𝘪̄𝘵𝘺𝘢𝘴𝘢𝘮𝘶𝘵𝘱𝘢̄𝘥𝘢); è là dove non vi sono cose condizionate; non è impermanente; è il non-𝘴𝘢𝘮̣𝘴𝘢̄𝘳𝘢. L’unica cosa che si può dire è che il 𝘯𝘪𝘳𝘷𝘢̄𝘯̣𝘢 si può ottenere. 
dana
𝘥a𝘯𝘢
𝘥a𝘯𝘢 – दान (sanscrito)
𝘴𝘣𝘺𝘪𝘯-𝘱𝘢 – སྦྱིན་པ། (tibetano)

🤲 𝘿𝙖̄𝙣𝙖 𝙥𝙖̄𝙧𝙖𝙢𝙞𝙩𝙖̄, tradotto più frequentemente con 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐨𝐬𝐢𝐭𝐚̀, indica la disponibilità a dare agli altri ciò di cui hanno bisogno. 𝘿𝙖̄𝙣𝙖 è stato definito nei testi tradizionali come qualsiasi azione di rinuncia alla proprietà di ciò che si considerava come proprio e di investire lo stesso in un destinatario senza aspettarsi qualsiasi cosa in cambio. Ciò può essere caratterizzato da generosità distaccata e incondizionata, dare e lasciar andare.

👉 Il dare senza cercare nulla in cambio porta a una maggiore ricchezza spirituale, oltre a ridurre l’attaccamento, che abbiamo visto essere uno dei tre veleni causa della sofferenza.

☸️ 𝘿𝙖̄𝙣𝙖 può essere praticata sia in modi materiali che immateriali. Il Buddha dice che il dono spirituale, o il dono di nobili insegnamenti, noto come 𝘥𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢-𝘥𝘢̄𝘯𝘢, supera tutti gli altri doni.
dharma
dharma
𝘥𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢 – धर्म (sanscrito)
𝘤𝘩𝘰𝘴 – ཆོས་ (tibetano)
Deriva dal tema 𝘥𝘩𝘢𝘳- del verbo sanscrito 𝘥𝘩𝘳̣-, i cui significati sono “sostenere”, “mantenere”, al quale si aggiunge il suffisso -𝘮𝘢𝘯, che si usa per formare nomi d’azione prevalentemente neutri. La forma 𝘥𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢𝘯 è però attestata raramente nelle fonti antiche, col tempo ha prevalso la forma maschile del sostantivo terminante in -𝘮𝘢. Il significato letterale di 𝘥𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢 è quindi “sostenitore” o “ciò che rende stabile” ⛰️. Tradizionalmente nel mondo indiano 𝘋𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢 è dunque il principio che sostiene il cosmo, ordinatore ed eterno 🌌. Esso viene scoperto, non ideato, dai saggi (𝘳̣𝘴̣𝘪) che “videro” il Veda. Ciò che è conforme al 𝘋𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢 è bene e ciò che vi si oppone è male; rispetto a questo, il termine indica anche l’insieme dei comportamenti che consentono all’uomo di conformarsi a quest’ordine universale profondamente gerarchico, quindi assume la valenza di “legge”, “norma” e “dottrina”. Con 𝘋𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢 ci si riferisce anche al complesso degli insegnamenti del Buddha, ma il Buddha rifiuta il 𝘋𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢 brahmanico come verità oggettiva, esso è semplice convenzione che non può condurre alla definitiva liberazione. In questo contesto, dunque, il 𝘋𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢 è semplicemente la “dottrina” del Buddha (𝘉𝘢𝘶𝘥̣𝘥̣𝘩𝘢 𝘥̣𝘩𝘢𝘳𝘮𝘢), nonché uno dei tre gioielli 💎, insieme al Buddha e al 𝘴𝘢𝘯̇𝘨𝘩𝘢 (la comunità spirituale), in cui il praticante prende rifugio. Infine, quando scritto con l’iniziale minuscola, indica anche i diversi fenomeni osservabili, ovvero tutti gli oggetti conoscibili.
origine della sofferenza
samudaya
𝘴𝘢𝘮𝘶𝘥𝘢𝘺𝘢 – समुदय (sanscrito)⠀
𝘬𝘶𝘯 ‘𝘣𝘺𝘶𝘯𝘨 – ཀུན་འབྱུང་ (tibetano)⠀
Preoccupazione principale del Buddha fu quella di trovare la via per la liberazione dalla sofferenza (𝘥𝘶𝘩̣𝘬𝘩𝘢); secondo questa prospettiva, conoscere il meccanismo attraverso cui essa si genera è imprescindibile per sviluppare un antidoto efficace. L’origine della sofferenza è indicata nella brama (letteralmente “sete”, sanscrito 𝘵𝘳̣𝘴̣𝘯̣𝘢̄), che viene classificata in tre tipi:⠀
1. brama di piaceri sensoriali (𝘬𝘢̄𝘮𝘢-𝘵𝘳̣𝘴̣𝘯̣𝘢̄)⠀
2. brama di esistenza (𝘣𝘩𝘢𝘷𝘢-𝘵𝘳̣𝘴̣𝘯̣𝘢̄)⠀
3. brama di non esistenza (𝘷𝘪𝘣𝘩𝘢𝘷𝘢-𝘵𝘳̣𝘴̣𝘯̣𝘢̄)⠀
Nella dottrina dell’Originazione dipendente (𝘱𝘳𝘢𝘵𝘪̄𝘵𝘺𝘢𝘴𝘢𝘮𝘶𝘵𝘱𝘢̄𝘥𝘢), 𝘵𝘳̣𝘴̣𝘯̣𝘢̄ si presenta come l’ottavo anello della catena dei dodici, dove è preceduto dalla sensazione (𝘷𝘦𝘥𝘢𝘯𝘢) e seguito dall’attaccamento (𝘶𝘱𝘢̄𝘥𝘢̄𝘯𝘢). La brama, infatti, sorge in conseguenza dell’esperienza sensoriale e conduce inevitabilmente all’attaccamento, fonte di dolore perché incompatibile con l’impermanenza. Bramare un oggetto dei sensi, quando è certo che questo avrà fine, causa sofferenza alla perdita di questo oggetto e una nuova brama destinata anch’essa alla perdita. E così via per sempre, salvo nel caso della liberazione. Il fattore soggiacente alla brama, e quindi la vera causa della sofferenza, è l’ignoranza o falsa visione (𝘢𝘷𝘪𝘥𝘺𝘢̄), la quale viene spiegata come non conoscenza delle cose come realmente sono, della vera natura del Sé. Essenziale alla visione del vero modo d’essere delle cose, che corrisponde alla liberazione, è quindi la consapevolezza dell’esperienza sensoriale (tutti i fenomeni sono impermanenti) e la recisione di tutte le false visioni sul Sé (tutti i candidati a costituire il Sé sono “non-Sé”). ⠀
risvegliato
buddha
𝘣𝘶𝘥𝘥𝘩𝘢 – बुद्ध⠀(sanscrito) ⠀
𝘴𝘢𝘯𝘨𝘴 𝘳𝘨𝘺𝘢𝘴 – སངས་རྒྱས་ (tibetano) ⠀
Il termine deriva dalla radice verbale sanscrita 𝘣𝘶𝘥𝘩-, letteralmente “svegliarsi” e per estensione anche “capire”, “divenire coscienti di qualcosa”. Dalla stessa radice deriva anche il sostantivo 𝘣𝘰𝘥𝘩𝘪 “mente risvegliata”. Colui che abbia portato a maturazione la mente del risveglio è un 𝘣𝘶𝘥𝘥𝘩𝘢, incluso Śākyamuni, il Buddha storico.⠀