Il settuplice ragionamento: Candrakīrti
il compito della settimana sarà quello di osservare gli oggetti della propria esperienza e applicare questo ragionamento. Cominciare ad osservare il sorgere dipendente e la vacuità.
Ma chi era Candrakīrti?
Maestro della scuola Madhyamaka, cioè la scuola della “Via di mezzo“, vissuto tra il 600 e il 650 d.C. Per la scuola Gelug-pa rappresenta il più grande commentatore dell’opera di Nagarjuna.
Sistematizzando la tradizione letteraria del Prajnaparamita Sutra (Sutra della perfezione della saggezza), ha dato il via alla scuola della “Via di mezzo“, introducendo tutto il discorso, il pensiero e la letteratura sull’esperienza della vacuità cioè dello stato naturale dei fenomeni.
In concreto
Candrakīrti utilizza un ragionamento che è una meditazione: il settuplice ragionamento. Sono 7 linee di ragionamento che vengono impiegate come una meditazione di tipo analitico e nella tradizione della “Via di mezzo“, nella tradizione Kadampa, nella tradizione del Dalai Lama, Gelug, vengono utilizzate per meditare sul vero modo di essere delle cose per poi trasferirle al vero modo di essere di noi stessi. Prima si utilizza il ragionamento impiegandolo su un oggetto inanimato e poi lo si porta su noi stessi. Anche se vedremo che in quest’ultimo caso la cosa è un po’ più complicata.
Candrakīrti introduce questo ragionamento utilizzando una forma che all’epoca andava per la maggiore: un carro. oggi potremmo impiegare una macchina, una borsa, etc.
Al centro di questo ragionamento ritroviamo due termini essenziali: sorgere dipendente e vacuità
la vacuità non si scorge immediatamente, occorre far riferimento anche concettualmente all’idea del sorgere dipendente cioè che ogni cosa dipende da qualcos’altro.
Il sorgere dipendente ha a che fare con una simultaneità, con un’immediatezza, con quello che noi oggi chiamiamo “entanglement”. Come quando in una coppia di gemelli uno avverte anche a notevole distanza fisica, il malessere dell’altro. Questa è la vacuità a livello sottile. Un’esperienza sempre presente in noi che appare nel momento in cui vien meno, si distrugge l’idea di un ego che non esiste; allora cambia il nostro modo di percepire l’esperienza.
Ma ancor prima di Candrakīrti l’esempio del carro lo ritroviamo nei dialoghi tra il monaco Nagasena e il re Milinda (Menandro I)
Nagasena
il re Milinda interroga il monaco Nagasena proprio sull’io, sul sé. Al ché Nagasena tra i vari esempi che espone al re, riporta proprio quello
del cocchio con il quale era giunto all’incontro: qual è l’entità del cocchio? E’ nelle sue parti che lo compongono? O tutte queste parti insieme sono il carro? O, ancora qualcosa esterna a loro è il carro? Di fatto non esiste nessuna cosa come carro! Il re non fu capace di spiegare cosa fosse un carro.
Il Settuplice ragionamento in definitiva può essere sintetizzato in questi due elementi: o un fenomeno è identico alle parti che lo compongono o il fenomeno è qualcosa di differente dalle parti che lo compongono .
Ora l’esercizio: proviamo a trasporre l’esempio del carro con qualsiasi altra cosa
Prendiamo ad esempio un paio di scarpe costose o un oggetto della nostra infanzia al quale eravamo particolarmente affezionati (tipo una macchinina).
anche in questo caso possiamo dire che sono la stessa cosa delle parti che le compongono o, al contrario, sono differenti dalle parti che le compongono.
Insomma i fenomeni, le esperienze esistono così come noi li percepiamo, così come appaiono? Oppure questi fenomeni esistono sempre sulla base di cause, condizioni e parti in continua associazione e dissociazione, in continuo divenire?
Per concludere
Cosa ci sta dicendo Candrakīrti? Possono esserci due modi per intendere la “famosa” macchinina/carro: o la macchinina/carro esiste identica a quello che io mi immagino debba essere, nella forma, nel colore, grandezza, cioè le cause e le condizioni con cui la percepisco in quel dato momento oppure l’idea che io ho della macchinina/carro esiste separatamente dalla stessa.
In altre parole, potremmo dire che i fenomeni esistono così come noi li percepiamo. In questo modo c’è il rischio che ciò a cui noi ci attacchiamo, bramiamo possa essere semplicemente un’idea quasi sempre indotta culturalmente che, nel momento in cui cambia, produce sofferenza: quel cambiamento non ce l’aspettavamo, ci eravamo identificati ed ora ci troviamo impreparati ad affrontare un inevitabile cambiamento.
Questo non significa che dobbiamo chiuderci ad ogni fenomeno che ci accade ma solo che forse occorrerebbe cominciare a rapportarsi in maniera differente per poter vivere al meglio l’esperienza che ogni fenomeno rappresenta.
Tanto per riprendere l’esempio precedente, una volta rievocata la famosa macchinina, che un tempo aveva catturato tutto il nostro interesse, non era più la stessa o meglio l’immagine e le aspettative un tempo a lei associate non calzavano più. Caratteri e dimensioni non erano più quelle di una volta. In realtà era lo stesso oggetto sul quale non proiettavo più gli stessi caratteri.
(estratto dal discorso del 17 novembre 22) qui è possibile scaricare il testo sul Settuplice Ragionamento