Obiettivo della settimana 11-17 novembre

Titolo: cavalcare la mente


il compito della settimana continuerà ad essere l’osservazione delle nostre emozioni. Vediamo come.

Immedesimazione o libertà: ne siamo schiavi, ne siamo condizionati o riusciamo ad osservarle, distaccati?


Occorre andare in profondità, vedere come esse danno forma al nostro presente e a quello che siamo, alla nostra identità. Osserviamo questo meccanismo senza fissarci sulla nostra identità perché anche solo il suo riconoscimento implica un superamento, una trasformazione e si genera un respiro migliore e un alleggerimento complessivo. 
Si comincia ad uscire da quel mondo privato che fondamentalmente è quasi sempre basato su delle ossessioni. Così la mente rimane semplice presenza, “attenzione“.

Shamatha – Śamatha – Shiné

A questo riguardo viene in aiuto una splendida immagine tibetana: un viaggio iconografico che ci fa vedere, con simbologie chiare, come è possibile “addomesticare” la nostra mente. Si vede un monaco che insegue un elefante impazzito che fugge e piano piano riesce a raggiungerlo e alla fine anche a domarlo, cavalcandolo. 
Si esce dall’idea di un mondo privato fatto di cose che devono essere così perché devono essere sempre ritrovate nella stessa maniera affinché quel ritrovamento ossessivo nella stessa maniera ci dia la conferma che noi siamo in un modo e sempre saremo in quel modo perché sempre vi ritroveremo quelle cose che abbiamo identificato. 
l’inizio del percorso
la fine

Ma se ancora non fosse chiaro potremmo anche esprimerci in altro modo. Vediamo come:

non possiamo accettare il cambiamento di un fenomeno perché il cambiamento di un fenomeno nega la sicurezza del nostro campo dell’essere, toglie il sostegno all’idea che ci siamo fatti di come dovremmo essere, per garantirci una sicurezza, una stabilità,  una rassicurazione e una permanenza: io sarò sempre così.
E’ il tentativo di diventare uno e infinito che è poi la tensione teleonomica di tutta l’esistenza della natura, è quel tentativo disperato di essere infiniti con una forma, con un’identità. Diventare eterni in una forma,  in questo corpo. Siamo immedesimati, identificati in questo corpo.

E così un bel giorno………..interviene la sofferenza e perché interviene?


Perché quello che pensiamo di ritrovare sempre con quegli stessi caratteri, un giorno non lo troviamo più. Non troviamo più quella rassicurazione che ci veniva dal ritrovamento continuo e costante di qualcosa che avevamo identificato attraverso una forma e una forma soltanto. Ma quel fenomeno quella forma non ce l’ha mai avuta, non l’ha mai posseduta realmente. Quella persona non è mai stata quella persona in quel momento. Non troviamo stabilità definitiva nei fenomeni dell’esperienza che afferriamo con l’idea di ritrovarli continuamente.

il distacco
La sofferenza che sperimentiamo attraverso gli affetti, per esempio è la promessa più atroce che non viene mantenuta. Perché in un modo o nell’altro comunque sia, la forma con cui gli affetti si manifestano un giorno verrà meno o cambierà. 
Quindi non ritroviamo quella forma a cui noi ci eravamo abituati, legati. Questo modo in cui io ti riconosco è una forma o ti ho conosciuta attraverso quella forma che avevi. E nel momento in cui questa forma non viene più mostrata sperimento la sofferenza.

Per concludere

La sofferenza che sto sperimentando non viene da te, ma viene da una mia interpretazione erronea, viene dal mio mondo privato che ho tentato di cementificare attraverso delle forme rese, ritrovabili all’infinito dalla mia idea di identità.

(estratto dal discorso del 10 novembre 22)