Obiettivo della settimana 25 novembre – 1 dicembre

Candrakīrti nel concreto


il compito della settimana sarà quello di provare a mettere in atto quanto detto da Candrakīrti nel settuplice ragionamento, con riflettori accesi sul primo: Non esiste alcun carro che sia diverso dalle sue parti

Di fatto come condurre questo approfondimento?

Mettendo in discussione quelle che sono le nostre abitudini, le certezze alla nostra visione consueta degli oggetti e delle relazioni. Quindi tuffarci a sperimentare nel concreto, vedere se è possibile andare un po’ più a fondo e quindi generare accettazione, consapevolezza e attenzione.

Ritorniamo all’esempio di un oggetto inanimato che nel nostro caso è rappresentato proprio dal carro con le sue parti: pianale, timone, sterzo, ruota, telaio, scannello, mozzo, etc. ovviamente potremmo prendere a modello qualsiasi altro oggetto: una macchina, una chitarra, un treno, etc.

Il punto centrale

Siamo stati abituati a considerare le cose caratterizzate da una solidità che è ovvia che non ci viene mai in mente di mettere in discussione. Le cose così come ci appaiono così esistono e quindi il carattere inerente di cambiamento, di insostanzialità e anche di insoddisfazione latente non ci sfiora mai. 
Di fatto quando ci approcciamo agli oggetti della nostra esperienza, almeno in un momento iniziale anzi magari ammantati di desiderio, ammantati di paura, essi ci appaiono come dotati di un’esistenza propria, di una qualità esistenziale, di un’essenza, di un’entità che è propria dell’oggetto non dipendente da niente.

Un oggetto così come appare così è…………….

non mettiamo mai in discussione che quell’apparire possa dipendere da tutta una serie di circostanze e condizioni che pongono in essere l’oggetto in questo momento con questa forma e questi caratteri a cui poi si aggiungono le nostre rappresentazioni o le proiezioni o le nostre necessità che potrebbero essersi originate da un cambiamento di personalità dovuto a qualsiasi esperienza vissuta negli ultimi 5 minuti, 5 giorni, 5 mesi o 5 anni. Anche i nostri genitori o il nucleo sociale di riferimento possono aver influito in questo condizionamento: la scuola, gli insegnanti. Tutto ciò ha contribuito a solidificare quell’idea iniziale:

le cose esistono così come appaiono

Nasce il dualismo: io e gli altri o le altre cose che osservo e che sperimento, cioè si crea una distanza

Subentra un primo “filtro”: l’abitudine che rappresenta la caratterizzazione di un fenomeno, di un’esperienza definiti in una maniera specifica

L’abitudine

con l’abitudine si comincia a perdere quel senso di unicità con le cose che ci circondano. Unicità presente, invece, nel/la bambino/a, come anche il persistente senso di innamoramento: ricordate come nell’infanzia ogni cosa avesse una sua “insita” magia, perché liberi da una quantità industriale di concetti, di aspettative e di senso del bisogno?
Quel trionfo di pensieri e di concetti all’origine della distinzione tra noi e gli altri, comporta anche la necessità di afferrare, di appropriarsi di quello che sta succedendo, proiettandovi dei bisogni, delle necessità o un desiderio, etc.
Pertanto l’abitudine spegne le potenzialità insite in ogni esperienza a favore di una caratterizzazione definita. Tanto per ritornare all’esempio del carro:

quando pronuncio la parola “carro” sto utilizzando un nome e un pensiero

se voglio identificare un carro ho bisogno di portare all’attenzione della mente un’immagine del carro, intero o meno, al quale poi apporre un nome. In questo modo la mia percezione diretta di carro svanisce e l’idea che ne scaturisce è rappresentata da un’entità (carro) che è tutt’uno con le sue parti. In realtà è proprio il contrario: la conoscenza dell’entità “carro” avviene in funzione o in dipendenza delle sue parti.

Con l’idea di carro non ci riferiamo ad un’entità ma bensì ad una funzione

Ricapitolando: percepisco un carro, cioè vedo una forma quindi sopraggiunge il nome e il pensiero, riconosco l’oggetto come un’entità assestante, come una realtà che inerentemente non c’è in quell’insieme di cose, operando una sorta di astrazione rispetto all’oggetto della mia percezione.

Per concludere

dall’astrazione di cui sopra al desiderio o avversione il passo è breve: nel vedere e percepire un oggetto, una persona quale entità a sé stanti e non come una configurazione di aggregati, in continuo divenire, siamo destinati a rimanere insoddisfatti perché ciò che ci si aspettava rimanesse sempre così non c’é, non é. In termini buddhisti si parla di tre caratteristiche fondamentali dell’esistenza: Dukkha, Anicca e Anattā, cioè impermanenza, dolore o condizione insoddisfacente e assenza di un sé, di un’entità assestante.

(estratto dal discorso del 24 novembre 22) qui è possibile scaricare il testo sul Settuplice Ragionamento